giovedì 24 aprile 2014

La nobildonna e il nobilduomo di Milano (Romanzo Rosato) – Capitolo 2: L’incontro

Fuori da quella Chiesa, Frank, il nobiluomo, scivolò finendo con il naso nel seno generoso di Sarah, la nobildonna.
“Nessuno mi era mai arrivato così vicino al cuore!” pensò.
Frank, intanto, era diventato rosso per la vergogna… e l’eccitazione.
«Perdonatemi, signorina! Mai avrei desiderato infilarmi tra le vostre tettone pazz…ehm… volevo dire… nel suo nobile petto.» disse lui.
«Figuratevi! Non è niente in confronto alle palpate del prete.»
Perché l’aveva detto? Con lui sentiva di poter dire qualunque cosa. Dunque osò ancora di più.
«Siete “impegnato” con alcuna?»
«Bè, fino a poco tempo fa avevo una “relazione complicata”, poi sono stato “fidanzato/a ufficialmente” e poi, prima ancora di poter essere “sposato/a”, sono diventato “vedovo/a”. Ora sono “single”.»
Sarah sentì un tuffo al cuore: forse era l’uomo giusto per lei, il suo cavaliere azzurro.
Il suo uomo precedente di azzurro aveva solo il farmaco che assumeva per i suoi incontri galanti.
Si chiamava Durante “Duro”, conte di Monza.
Fino ai 27 anni, 3 mesi, 15 giorni, 3 ore, 17 minuti e 36,7 secondi non aveva avuto alcun problema, per così dire, afrodisiaco. In quel periodo si incontrava con una ragazza. Era molto bella.
Il problemino gli nacque da un trauma molto grave: scoprì che la ragazza che amava era una monaca. Della sua stessa città.
In seguito, Duro incontrò Sarah. La purezza della giovane borghese milanese (non ancora nobilitata) con il nome da straniera riaccese la fiamma dell’amore nel cuore di Duro. Ma solo nel cuore.
Fu così che il povero ragazzo iniziò a fare uso di una nuova sostanza dal colore azzurro.
Fu un vecchio stregone a vendergli il farmaco.
«Grazie, Mago Essah! Il vostro farmaco è miracoloso!» disse il giovane Duro.
«Per tutte le lingue di rana, le ali di pipistrello e le scaglie di serpente! La rivoluzione scientifica c’è stata quasi 400 anni fa e ancora parlate di magia e stregoneria? Per la folta barba infernale di Belzebù! Sono un uomo di scienza! Un dottore!» esplose risentito il vecchio Essah.
Il povero Duro, mortificato, non poté che assecondarlo. «Chiedo perdono, Dottor Essah!»
Perché la storia tra Duro e Sarah era finita? Mancava l’amore? Certo no.
Il motivo fu ben più drammatico. Duro, infatti, ingeriva sistematicamente il farmaco, nella speranza di concludere qualcosa. Usando le metafore più poetiche, com’era costume all’epoca, per ottenere la virtù della giovane.
«Oh, Sarah. Sentite il canto degli uccelli? È giunta la primavera. I fiori vengono impollinati dal dolce zefiro, le api ricercano il nettare e noi… bè… il nostro legame mi sembra sempre più forte, intimo, oserei dire.»
«È vero!» disse lei, accarezzandogli la mano e dandole un leggero bacio nei pressi del angolo destro del mento. Poi salì nei suoi alloggi.
Duro capì che non avrebbe concluso neanche quel giorno. “Ci sto perdendo soldi e salute con questa! Ah ‘sto punto era meglio la monaca della mia città nativa, anche se arrivò ad uccidere per coprire la nostra relazione!” pensò il povero giovane.
Capì che l’abuso di quella sostanza azzurra lo stava uccidendo. Doveva assolutamente concludere!
Così un giorno la invitò in campagna.
Dopo inutili avances impazzì. Le saltò addosso e le strappò i vestiti. “Dio, quanto è bella!” pensò lui. Ma neanche a quella visione il suo corpo rispecchiava il suo soprannome. Nero dalla rabbia, Duro assunse una dose massiccia del farmaco azzurro, che non portò, però al risultato sperato. Egli, invece, si colorò totalmente d’azzurro e si ridusse alla dimensione di due mele o poco più. Maledisse la sua condizione, inconsapevole del fatto che un giorno sarebbe diventato il patriarca di un’intera tribù di esserini azzurri famosissimi nel mondo.
Quell’esperienza aveva fatto capire alla giovane Sarah che l’amore di cui parlano i poeti è solo una presunzione dell’essere umano: esso è il tentativo di rendere spirituale il semplice istinto fisico di conservazione della specie, comune a tutti gli esseri viventi. Non avrebbe più aspettato tanto.
La precedente relazione di Frank, invece, era misteriosa. Ed egli ci teneva a farla rimanere tale.
Sarah si spinse oltre. «Frank, volete vedere la mia collezione di farfalle?»
«Veramente, avrei le mie cose…» tentò il frastornato Frank.
Ma proprio in quel momento, Frank fu raggiunto dal suo migliore amico, Romano di Roma, il quale esordì dicendo: «Ma che ce pensi pure pé ffarte ‘sto fior de gnoc…»
Frank lo frenò all’istante sparandogli alle parti basse.
«Oh, mio eroe! Mi avete salvato la vita! Quel tale stava per aggredirmi (verbalmente s’intende, ma in quest’epoca è comunque grave)!» esplose Sarah, avendo, in seguito un’illuminazione.
“Ora fingo di svenire per lo spavento così è costretto a portarmi a casa in braccio!”
E svenuta fu.
«Sarah! Sarah!»
«Oh, Frank… non… ti… vedo… beneehh…»
Frank raccolse Sarah e, prendendola tra le forti braccia, si incamminò verso il suo umile castello rinascimentale.
Durante il tragitto Sarah si spinse un po’ all’indietro, in modo da finire con la schiena piegata sulle braccia di Frank, spingendo verso l’alto il seno, facendolo giungere sotto gli occhi di Frank.
L’animo estremamente poetico del giovane nobile aveva un solo verso nella sua mente: “Che tette!”
Arrivarono a casa. Frank poggiò Sarah sul divano. La giovane, fingendo di scivolare, lo trascinò su di sé.
Lei pensò “Speriamo che non si metta subito a fare l’amore, altrimenti i lettori penseranno che quello fosse il mio scopo e che io sia una donna di facili costumi, mentre sono solo una donna sola in cerca del suo principe azzurro.”
Frank la guardò negli occhi. Erano uno spettacolo. Azzurri come il mare sul quale andava in barca da bambino. Azzurri come era quel mare prima che lui, bambino, ci urinasse e defecasse, ridendo come un pazzo.
Chinò il volto sul suo e la baciò sulle labbra per un lungo, intenso mezzo minuto e cinque secondi.
«Non avrei dovuto! Perdonatemi!» si ritrasse mortificato.
Lei lo tranquillizzò dicendo: «Se di azzurro avete solo quegli occhi di ghiaccio, allora rifatelo pure.
Rifecelo pure. E poi rifecelo ancora. Ma non andò oltre. Lei si chiese come mai. “Ditemi che non è gay come dicono le magliette che quelle bimbe-minkia sfoggeranno tra circa due secoli!” 

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